Le isole di plastica, un mare di plastica

18 Settembre 2017
un mare di plastica
Si parla molto dell’impatto ambientale della plastica, materiale di largo impiego nella nostra vita quotidiana, soprattutto delle difficoltà gestionali relative allo smaltimento degli oggetti plastici arrivati a fine vita (che creano le cosiddette "isole di plastica" nei nostri oceani), o comunque dismessi, visto che, per loro natura, non sono biodegradabili e presentano un’elevatissima persistenza ambientale. Il termine “plastica” fa venire in mente immediatamente le bottiglie di acqua minerale, (il nostro Paese risulta infatti essere oggi il maggior consumatore europeo di acqua in bottiglia) il tipico contenitore “usa e getta” che sta saturando l’ambiente a causa dei volumi impressionanti di produzione, basta pensare infatti che solo in Italia vengono lavorate a tal scopo, ogni anno, circa 330.000 tonnellate di PET (polietileneterftalato), con relativo impiego di petrolio ed un notevole consumo di acqua. Ma questo è niente in confronto a tutte le bottiglie di plastica che vengono prodotte nel mondo, e non solo per l’acqua minerale dato che questi contenitori vengono usati anche per le bibite, il latte, ecc. Ma la plastica, o meglio “le plastiche”, visto che si tratta di una grandissima varietà, ognuna con particolari caratteristiche, hanno un utilizzo ben più vasto trovando impiego praticamente in tutti i settori delle attività umane. Molti degli oggetti che un tempo venivano realizzati in legno, tessuto o metallo sono oggi prodotti in plastica. La plastica nasce come materiale economico, leggero e resistente, fatto per durare nel tempo, motivo per cui si dovrebbe utilizzare il più a lungo possibile per poi essere adeguatamente smaltita o riciclata a fine vita; tuttavia l’economicità della produzione e la flessibilità di questi materiali fa si che vengano sempre più impiegati per oggetti “usa e getta” (piatti e posate, imballaggi, cialdine del caffè espresso, ecc) un controsenso che fa molto male all’ambiente. Il problema quindi, oltre alle quantità, è dato dall’errato uso e smaltimento di una buona parte di questi materiali che solo in parte segue la via della raccolta differenziata. Molta plastica viene stoccata per secoli nelle discariche, oppure finisce per disperdersi nell’ambiente per arrivare, alla fine, in mare, che si sta trasformando nel più grande contenitore di rifiuti della storia dell’uomo.

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La grande isola di plastica e immondizia del Pacifico

Nell’Oceano Pacifico esiste una discarica fluttuante chiamata Great Pacific Garbage Patch (Grande chiazza di rifiuti del Pacifico) che ha l’estensione del Canada. Non si tratta di una montagna di rifiuti e nemmeno di un’isola piena di spazzatura, bensì di una “zuppa” di plastica dispersa in mare, una vastissima massa galleggiante costituita perlopiù da pezzi sminuzzati in piccoli frammenti a causa dell’erosione meccanica dovuta all’acqua e al vento oltre all’azione di degrado della radiazione solare. Le dimensioni di questo fenomeno sono impressionanti e sono state ampiamente descritte da Charles Moore, scienziato, navigatore e ambientalista nel suo libro “L’oceano di plastica - la lotta per salvare il mare dai rifiuti della nostra civiltà”. L’isola di plastica è una porzione di oceano di alcuni milioni di km quadrati, compresa nell’anello delle correnti del Pacifico, nella quale galleggiano milioni di tonnellate di rifiuti, di cui circa l’80% sono di materiale plastico. Questo accumulo si è formato a partire dagli anni ’80, con la dispersione nell’ambiente di detriti plastici che sono finiti nelle correnti oceaniche del Vortice subtropicale del Nord Pacifico, una vasta porzione di oceano nella quale i rifiuti galleggianti si aggregano tra loro rimanendo intrappolati  in un movimento a spirale. Ma questa non è la sola isola di plastica, sono cinque i grossi vortici subtropicali presenti negli oceani del mondo (nord e sud pacifico, nord e sud atlantico e oceano indiano) nei quali si stanno accumulando enormi quantità di rifiuti plastici, e una sesta isola di detriti galleggianti sembra essere in formazione nel mare di Barents, in prossimità del circolo polare artico. I rifiuti di origine biologica si degradano spontaneamente, invece la plastica, che non è biodegradabile, subisce un processo di fotodegradazione che la riduce progressivamente in pezzi sempre più piccoli, sino a dare origine ad una “zuppa”, estremamente dannosa per gli uccelli marini che si nutrono sulla superficie del mare, e naturalmente per i pesci. Questi animali si cibano di questa brodaglia sintetica scambiandola per cibo, con effetti allarmanti sulla catena alimentare, e quindi anche sull’uomo. In un'intervista a Repubblica (settembre 2017) il navigatore Giovanni Soldini racconta il suo incontro con una di queste isole di plastica a largo del Pacifico e ad un certo punto dice "Anche volando sull'acqua a trenta nodi di velocità si vede chiaramente che ormai siamo a arrivati a un punto critico. Il mare è pieno di quella roba, nel 2050 ci sarà più plastica che pesci."

Come ridurre la plastica nella vita di tutti i giorni?

Invertire il processo è possibile e doveroso ma occorre non stare a guardare come si è fatto fino ad ora. Inoltre per farlo serve il contributo di tutti; dei governi che devono promuove politiche virtuose di "uso/riuso" e di smaltimento dei beni compatibile con l’ambiente in cui viviamo, delle industrie che possono favorire la produzione di materiali biodegradabili al posto di quelli sintetici per i contenitori, gli imballaggi e gli oggetti usa e getta, nelle aziende installando erogatori d'acqua allacciati alla rete idrica, fino al singolo cittadino che può facilmente eliminare l'acqua in bottiglie di plastica dalla vita di tutti i giorni.   plastica_pesci_oceani_nel_2050 Scopri come dire addio all'acqua in bottiglia di plastica >>

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