Farmaci nelle acque di scarico e nell’acqua potabile

10 Marzo 2020
farmaci nelle acque di scarico

Per gran parte dei nostri “scarichi” il destino finale sono le acque superficiali, prima quelle dolci e poi quelle marine. Per cercare di ridurre l’impatto sul mare i corsi d’acqua dolce sono sottoposti alla depurazione mediante impianti. Tali impianti con l’aiuto di sistemi di filtrazione trattengono i materiali solidi organici e inorganici che poi sono sottoposti a trattamenti di “digestione” basati sull’azione di microrganismi che degradano le sostanze organiche.

Il risultato dei processi di depurazione è un’acqua sufficientemente “pulita” che prosegue il suo cammino verso il mare. Le norme e i parametri esistenti in materia di depurazione delle acque sono stringenti e obbligano le aziende produttive (industrie, agricoltura, zootecnia, comuni, ecc.), ad adottare misure in grado di eliminare o quanto meno ridurre al massimo i contaminanti nelle acque di scarico. Farmaci_acqua-potabile Purtroppo, esiste un elevato numero di sostanze chimiche, biotiche e xenobiotiche, da noi utilizzate o prodotte con le nostre attività che finiscono nelle acque di scarico e che non vengono completamente eliminate. Esse derivano da specialità medicinali, da prodotti cosmetici, da biocidi e disinfettanti domestici, dalla cottura degli alimenti, ecc. Si tratta di un gruppo estremamente vasto ed eterogeneo di sostanze con caratteristiche chimico-fisiche, biologiche, farmacologiche, tossicologiche molto diverse tra loro e alle volte anche scarsamente conosciute. A tale gruppo si debbono aggiungere i materiali “nanotecnologici” utilizzati in diversi prodotti come gli alimenti, i cosmetici e alcuni farmaci. Le concentrazioni di ogni singola sostanza nelle acque è molto bassa e l’ordine di grandezza è anche molto inferiore alle parti per milione. Se però consideriamo le quantità totali immesse nelle acque superficiali, i numeri divengono drammatici perché nel corso di un solo anno con le nostre attività “smaltiamo” anche migliaia di tonnellate di sostanze chimiche che, purtroppo, si diffondono in tutti gli ambienti acquatici.

Farmaci nelle acque

Tra le sostanze chimiche ritenute di maggiore impatto ambientale ci sono i farmaci. È innegabile la loro grande utilità; ad essi dobbiamo il mantenimento di un buono stato di salute in quanto ci consentono di prevenire e curare moltissime malattie infettive e metaboliche, ma anche curare stati di ansietà, l’insonnia, regolare i cicli mestruali femminili, agire come contraccettivi, ecc. Non bisogna poi dimenticare i farmaci usati come sostanze d’abuso, come ad esempio la cocaina. La quasi totalità di queste sostanze chimiche, una volta introdotte nel nostro organismo, esercitano la loro funzione e dopo qualche tempo di “permanenza” nel nostro corpo (da poche ore a qualche giorno) sono escrete con le urine e/o le feci e quindi eliminate con gli scarichi fognari. Alcuni farmaci sono anche impiegati sugli animali da allevamento; in questi casi generalmente si fanno trattamenti di “massa” (ovvero si trattano tutti gli animali presenti) che durano qualche giorno e quindi i reflui zootecnici possono essere contaminati con quantità importanti anche se per brevi periodi.

Quali farmaci si possono trovare nelle acque?

I farmaci maggiormente usati e che possiamo ritrovare come residui nelle acque superficiali sono gli antidolorifici, gli antinfiammatori, gli antibiotici, gli ormoni impiegati come contraccettivi, gli antitumorali, quelli per combattere l’insonnia e altri disturbi comportamentali, quelli per curare disturbi gastrointestinali. Si tratta di prodotti con un ampio spettro di attività farmacologica e tossicologica che spesso mantengono inalterata, e che possono anche interagire tra loro dando origine a sinergie e/o antagonismi. Le conseguenze sugli organismi viventi acquatici che incontrano sono in gran parte sconosciute. In alcuni corsi d’acqua si è assistito ad alterazioni dell’apparato sessuale dei pesci che di fatto hanno limitato la capacità riproduttiva. È stato ipotizzato che la causa del fenomeno fosse la presenza nell’acqua degli estrogeni presenti nelle pillole contraccettive. Uno studio australiano ha dimostrato che alcuni insetti che vivono in ambienti acquatici hanno subito danni imputabili ai farmaci presenti come residui. Nelle acque del fiume Gange a causa dello sversamento delle fognature delle grandi città e anche degli scarichi degli allevamenti zootecnici si è verificata la presenza di antibiotici che con ogni probabilità hanno portato alla comparsa del “superbatterio” mutato denominato “New Delhi” che sta preoccupando le Autorità sanitarie del mondo intero. Organizzazioni ambientalistiche come “Green Peace” hanno sollevato il sospetto che alcuni nanomateriali contaminanti delle acque marine siano accumulati dai molluschi come le cozze e che poi finiscono nei nostri piatti. Si tratta di problematiche che richiedono ulteriori approfondimenti scientifici sia sugli effetti “biologici” causati dalla presenza di questi contaminanti, sia sulla possibilità di una loro eliminazioni dalle acque. Sulla base dei dati attualmente disponibili sarebbe comunque molto utile definire a livello sovranazionale delle “linee guida” applicabili dai governi locali. È necessario approfondire le ricerche scientifiche sugli effetti biologici di questa categoria di contaminanti. Sarebbe però molto utile se nel frattempo delle strutture sovranazionali, sulla base delle conoscenze finora disponibili, predispongano delle linee guida sia per la prevenzione della contaminazione delle acque, sia per l'eventuale decontaminazione. Tali linee guida dovrebbero esser messe a disposizione dei Governi di tutte le nazioni.

Sistemi filtranti delle acque potabili

In alcune località le acque superficiali sono sottoposte a ulteriori e più efficienti processi di depurazione per renderla potabile, che utilizzando le capacità di sistemi filtranti di avanzata tecnologia riescono a trattenere molte sostanze potenzialmente pericolose. La presenza di farmaci però non viene regolamentata dal Dlgs 31/2001, seppur la nuova direttiva UE sulla qualità delle acque destinate al consumo umano (DWD) abbia introdotto nuovi parametri e soglie più restringenti. Tutti i farmaci sono studiati per curare specifiche malattie e, normalmente, possiedono effetti collaterali non desiderati. Il loro impiego è quindi limitato nel tempo seguendo quelle che sono le indicazioni mediche. Gli effetti della loro presenza come residui nelle acque, anche se la concentrazione potrebbe essere estremamente bassa, non sono prevedibili; di conseguenza bisogna essere molto prudenti. Considerando che l’utilizzazione delle acque superficiali a scopo alimentare potrebbe essere una necessità, è opportuno studiare tutte le possibilità tecnologiche disponibili per la loro “bonifica” e, possibilmente, migliorare i sistemi di filtrazione già applicati per il miglioramento delle caratteristiche organolettiche delle acque. I sistemi di trattamento al punto d’uso come i depuratori a osmosi inversa, che rimuovono le sostanze con dimensioni a livello molecolare < 0,001 micron, possono essere una valida soluzione. È importante però affidarsi ad aziende serie e che possano prendersi cura anche della manutenzione dell’impianto nel tempo. Articolo a cura di Agostino Macrì [ratingwidget] Richiedi un test gratuito dell'acqua di casa Bibliografia 1) Richmond EK, Rosi EJ, Walters DM, Fick J, Hamilton SK, Brodin T, Sundelin A, Grace M.  2018.  A diverse suite of pharmaceuticals contaminates stream and riparian food webs. Nature Communications. 9(1) 2) Säfholm M, Norder A, Fick J, Berg C. Disrupted oogenesis in the frog Xenopus tropicalis after exposure to environmental progestin concentrations.Biol Reprod. 2012 Apr 27;86(4):126. Print 2012 Apr. 3) Santos, L.H., Araújo, A.N., Fachini, A., Pena ,A., Delerue-Matos, C., Montenegro, M.C., 2010. Ecotoxicological aspects related to the presence of pharmaceuticals in the aquatic environment. J Hazard Mater 175(1-3), 45-95 4) Zuccato E, Castiglioni S, Bagnati R, Chiabrando C, Grassi P, Fanelli R. Illicit drugs, a novel group of environmental contaminants. Water Res 2008;42:961–8.

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